Passò quindi a Venezia, Pesaro, Urbino fino a giungere a Roma dove si aggregò all’Accademia degli Umoristi, assicurandosi il patrocinio di numerose personalità. Quattro anni dopo poté finalmente fare ritorno in patria grazie all’intercessione di alcuni importanti esponenti della Curia e di un senatore milanese.
Nel 1622 ottenne una cattedra presso l’Università di Pavia e, grazie all’appoggio del presidente del Senato milanese, l’anno dopo entrò a far parte del Nobile Collegio dei Medici. Nonostante l’impegno accademico, il Boldoni dedicò gran parte del tempo libero alla composizione di opere letterarie.
Nel giugno del 1625 Boldoni torna a Roma, forte della raccomandazione del cardinale Ubaldi di Bologna, probabilmente in cerca di qualche carica onorifica; tuttavia il viaggio deluse le sue aspettative. Occupò quindi il tempo del suo soggiorno romano lavorando alla correzione dei primi canti della Caduta dei Longobardi, testo che aveva iniziato a Pavia. Terminata questa parentesi sfortunata il Boldoni tornò in Lombardia continuando il lavoro al suo poema per poi riprendere i corsi a Pavia senza però dedicarci troppo impegno, come lui stesso ammise. Nonostante questo, però, nel 1628 ottenne la cattedra di filosofia più importante dell’università, strappandola al suo competitore Nicola Sacco, professore dell’ateneo da più di trent’anni.
Nel 1629, su impulso degli amici, il Boldoni terminò l’ottavo canto della Caduta dei Longobardi. Questo poema, tuttavia, sarà poi edito dal fratello Giovanni Nicolò nel 1656, dopo alcuni rimaneggiamenti.
Tra la fine del 1628 e l’inizio del 1629 in Lombardia iniziò a diffondersi la paura dell’invasione dei lanzichenecchi, soprattutto per la possibile diffusione della peste. Di questo periodo sono molto importanti le lettere scritte dal Boldoni: molte e dettagliate sono infatti le informazioni, i giudizi e le notizie che saranno poi utilizzate dagli studiosi e dallo stesso Alessandro Manzoni per conoscere la situazione dell’epoca. In queste lettere il Boldoni descrisse la violenza delle devastazioni operate dall’esercito invasore, il primo caso conclamato di peste verificatosi a Chiuso, presso Lecco e l’estensione del flagello fino a Bellano, dove soggiornava spesso nella villa di proprietà, in cui amò passeggiare nei giardini lungo il Pioverna in vista dell’Orrido.
Qualche mese prima di morire pare che il Boldoni abbia ricevuto la cattedra primaria di filosofia presso l’università di Padova, succedendo a Cesare Cremonini. Nell’inverno del 1629 tornò a Pavia dove morì il 3 luglio dell’anno successivo, contagiato di peste dal suo sarto.