Nello stesso anno il Grossi pubblica anche una novella sentimentale in ottave, Milano la fuggitiva, anch’essa in dialetto milanese. È grazie a questo scritto che riesce ad imporsi su un panorama più ampio grazie all’edizione, dell’anno successivo, che egli stesso curò trascrivendo il testo dal dialetto all’italiano.
Se il passaggio dal dialetto alla lingua significava l’irrigidirsi in forme più convenzionali, al tempo stesso diventava lo strumento necessario per una più ampia diffusione della novella, che ottenne uno straordinario successo, tanto da imporsi subito come uno dei frutti più significativi della nuova scuola letteraria.
Il Grossi scrisse la sua seconda novella in versi, Ildegonda, direttamente in italiano, caratterizzata da una struttura più ampia rispetto alla precedente. Notizie della sua composizione si hanno dalla corrispondenza fra gli amici della Cameretta a partire dal 1818; e il Manzoni, scrivendo al Grossi da Parigi il 6 aprile 1820, si augurava di trovarla compiuta.
L’Ildegonda segnò l’abbandono definitivo del dialetto nella pratica letteraria e rappresentò la risposta alla questione della lingua da adottare, particolarmente sentita nel circolo dei romantici milanesi. Fondamentale, in questa scelta, fu l’influenza di Alessandro Manzoni che, anche sul piano delle consuetudini di vita, ebbe molta importanza; tanto che dal 1822 al 1836 il Grossi abitò presso di lui facendogli da segretario, occupando i locali al piano terreno della sua casa milanese.
Degno di nota, anche da parte del Manzoni che inserì nei promessi sposi un verso ancora inedito, la nuova opera I Longobardi alla prima crociata: testo suddiviso in 15 canti per 1205 ottave pubblicato a Milano nel 1826. Sebbene il successo tra i lettori fu immediato e vasto, così non fu per la critica che scatenò un acceso dibattito procurando giudizi negativi.
Nel 1836, in occasione del matrimonio tra Alessandro Manzoni e Teresa Borri, Tommaso Grossi lasciò la casa dell’amico e pubblicò, un anno dopo, la sua ultima novella in versi: Ulrico e Lida.
Il 17 dicembre 1838 si sposò con Giovanna Alfieri e, nello stesso anno, sostenne gli esami per diventare notaio, dopo aver fatto pratica presso uno studio. Superati gli esami rientrò a Milano dove svolse la professione, anche con risultati importanti: si deve infatti al Grossi la stesura dell’atto che, nel 1848, sanciva l’annessione della Lombardia al Piemonte.
Con il rientro degli austriaci a Milano, Tommaso Grossi trovò rifugio a Lugano e a Belgirate, dove incontrò di nuovo il Manzoni.
Calmatesi le acque, nell’ottobre del 1849, Tommaso Grossi fece ritorno a Milano dove morì, il 10 dicembre 1853 colpito da meningite, senza vedere la sua liberazione.